Perché mangiamo pesce alla vigilia di Natale?
Se ogni regione ha delle usanze culinarie particolari, c’è ne una che mette d’accordo tutti: quella secondo cui alla vigilia di Natale non si porta in tavola la carne, ma bensì piatti a base di pesce.
Per i cattolici di tutto il mondo, mangiare pesce il venerdì è rimasta una tradizione molto sentita. Lo è ancora di più il Venerdì Santo, giorno della morte di Gesù Cristo, quando la Chiesa chiede ai cristiani di “dimagrire”, cioè di astenersi da cibi ricchi come la carne, l’alcool, ma anche, a seconda del tempo e del luogo, di latticini o uova, in memoria del sacrificio di Gesù Cristo e in spirito di penitenza. E ‘più la tradizione che il pesce ha sostituito questi alimenti.
Nei giorni stabiliti, sono vietati, oltre alla carne, anche cibi o bevande che sono da considerati particolarmente ricercati o costosi.
Per quanto ripiegare sul pesce come alternativa più austera alla carne sia quasi un controsenso, piatti di crostacei, vongole e cozze sono oggi da considerarsi, ancora più sontuosi e ricchi.
In passato, il Venerdì Santo, era anche consuetudine inginocchiarsi all’ora tradizionalmente ricordata come l’ora della morte di Cristo, cioè alle tre, per un momento di meditazione e di preghiera silenziosa.
Tuttavia il significato della tradizione ittica deriverebbe anche dal segno simbolico che essa rappresenta per i cristiani. Nel I secolo d.C., nel primo cristianesimo, quando i cristiani erano perseguitati dalle autorità romane, il pesce era il mezzo nascosto per rappresentare Cristo, perché la parola greca Ichthus (che significa “pesce”) riunisce l’iniziale dei termini greci che compongono la formula “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore” (Iesous Christos-Théou Uios Sautèr).
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